Manuale di pedagogia ornamentale vol. 1

INTRODUZIONE

La pedagogia tradizionale è fallace fin nelle premesse. Il suo precettismo ha saputo rovinare generazioni intere di figli e di genitori, limitandosi a fornire assiomi per ogni fase della crescita. Fino ad oggi ci siamo illusi di poter allevare i nostri figli seguendo con attenzione dei dogmi e imponendo loro dei limiti. Niente di più sbagliato. Lo sviluppo del bambino non deve essere quello della pianta che cresce costretta in un vaso, ma quello della pianta che cresce libera in mezzo al cielo.

Noi siamo dunque per una pedagogia che parta dall’istinto e, un po’ approssimativamente, arrivi dove deve arrivare. Una pedagogia olistica che sappia dare risposte concrete alle necessità del bambino, lasciando che questo sia libero di muoversi nel mondo con le sue gambe fin da subito, quando non sa ancora gattonare. Una pedagogia innovativa, moderna, liberata finalmente da ogni schema. L’efficacia si misurerà con il tempo, ma la comodità si può sperimentare fin da subito. Assistiamo al nascere di una nuova scienza dell’educazione: la pedagogia ornamentale.

PREFAZIONE

Nello scrivere questo manuale si è voluto evitare di riproporre il classico prontuario per genitori, con gli argomenti ordinati in capitoli e una trattazione esaustiva. Si è preferito invece lasciare che una certa confusione permeasse ogni cosa, per evitare che chi legge s’illuda di poter affrontare la questione con lucidità. Crescere un bambino non è facile, fatevene una ragione.

Per sfuggire, come si è detto, ad ogni possibile preconcetto legato alla pedagogia tradizionale, si è deciso di affidare la redazione di questo manuale ad un adolescente di Brescia. Egli, essendo figlio unico e avendo un pessimo rapporto con i genitori, può donare alle scienze educative uno sguardo veramente nuovo e innovativo. Il suo nome, già entrato nel novero dei grandi pedagoghi, è Jason Martazzoli (che poi sarei io stesso. Mi sto scrivendo la prefazione da solo).

CAPITOLO  1

Molto spesso durante gli incontri con i genitori che tengo in giro per il mondo, mi sento fare la stessa domanda: – Cosa devo fare se mio figlio si mangia una felce? – Rispondere non è sempre facile, anche per rispetto dei genitori. Solitamente cerco di prendere tempo e chiedo i dettagli:

– Il bambino era stato abituato a mangiare felci già da piccolo? Se sì, quante porzioni al giorno?
– La felce in questione era stata lavata con il Solvay, oppure l’ha brucata direttamente nel bosco?
– La pianta è stata mangiata fin nella parte lignea o solo parzialmente?

 Se è stata mangiata solo parzialmente, provate con un po’ di concime che magari si riprende. Non assicuro niente però, non sono un giardiniere, e poi le felci son piante particolari.
Se invece aveva un forte valore affettivo e dopo il morso si secca tutta, allora è il caso di pensare ad una punizione. Il tema è molto delicato e lo tratto più approfonditamente in altre sedi. La chiave comunque, come dico sempre, è saper nascondere la ferocia nella spensieratezza. Non tutti capiscono, soprattutto i nonni. Se i nonni vi crescono male i figli è un peccato. Un domani però potrete scaricare tutte le colpe su di loro, il che vi deresponsabilizza e contribuisce ad un clima familiare più disteso. Come punizione per aver mangiato una felce di solito si consigliava il classico “a letto senza cena”. Qui e altrove emerge l’assurdità di certi metodi beceri della pedagogia tradizionale. Se uno si è già mangiato la sua felce, cosa gli importa di saltare la cena? Poi magari si alza di nascosto verso le quattro, apre il frigo, e si scola un cartone intero di caglio.

Una punizione più adatta potrebbe essere questa: lasciate passare qualche tempo e fingete di aver dimenticato l’accaduto. Poi un giorno, appena prima di andare a prendere vostro figlio a scuola, date fuoco alla casa. Ecco che quando vedrà quella che noi chiamiamo zona sicura del bambino completamente carbonizzata, gli verrà facilmente una crisi. A quel punto voi, con voce tranquilla, potete spiegargli: – Ti ricordi di quando, alcuni mesi fa, ti sei mangiato una felce? Ecco il risultato. Ora grazie a te non abbiamo più una casa e siamo costretti a vivere nei bagni della stazione. Dovrai vendere fazzoletti di carta al semaforo per 18 ore al giorno, e dormirai in una scatola da scarpe. Bravo Filippo, bravo davvero.

Il bambino probabilmente non mangerà più felci.

CAPITOLO 2

Qualche notte fa mi chiama una mamma in lacrime e mi dice: – A mio figlio non piace Lucio Dalla. Non so più cosa fare…  Io: – Mi scusi signora, con tutto il rispetto, ma sono le tre della mattina. Non poteva chiamarmi domani?
– Ho la bolletta a fasce orarie, di notte spendo meno in corrente. Le lavatrici però le faccio la mattina, che se la roba rimane dentro poi puzza e i colleghi di mio marito si lamentano.
– D’accordo. Per quanto riguarda Dalla non saprei cosa dirle. Suo figlio quanti anni ha?
– Ne compie due oggi; infatti mi scusi ma ora devo lasciarla. Voglio preparare la torta di compleanno prima che si svegli e ho ancora tutti i festoni da appendere. Buone cose.

Di bambini piccoli a cui non piace Lucio Dalla non ce ne sono molti. Tuttalpiù rimangono indifferenti. Solo una volta mi è capitato un caso simile. Mi telefona (sempre di notte) una mamma boscimane che vive a Lambrate, e si lamenta che il figlio non apprezza il cantautore. Io cerco di farla ragionare: forse non capisce bene i testi, o magari preferisce la musica classica. Molti anni dopo si è scoperto che il bambino era completamente sordo.
Questo per dire che non si devono obbligare i propri figli ad ascoltare un certo stile musicale o un certo cantante. I bambini devono crescere liberi di scegliere e sperimentare quello che vogliono. Se invece è il vostro cantante preferito, e ci tenete parecchio, allora dovete imporvi con la forza.

Ecco una storia esemplare: molti anni fa, in Umbria, c’era un progettista di betoniere che, da quando la moglie lo aveva lasciato, viveva da solo col figlio. Il bambino fin dalla materna non voleva saperne di ascoltare Steve Reich. Il padre aveva provato ogni strada possibile per fargli piacere la sua musica; una volta aveva anche inscenato un sequestro, ma poi gli era dispiaciuto e aveva lasciato perdere. Comunque non c’era mai stato niente da fare. Così un giorno si licenzia dal suo lavoro, vende casa e automobile e con i pochi risparmi compra un camper usato. Ci carica il figlio e parte per un lungo viaggio attraverso la Russia sovietica. Con loro non hanno che poche provviste e delle vecchie riviste di equitazione, ma il padre ha sapientemente nascosto nel cassetto del cruscotto l’opera omnia di Steve Reich. E così, fin dalla mattina, dal mangiacassette del camper rimbombano a volume altissimo Sextet o Music for 18 musicians. Senza pause, fino a sera. I due viaggiano per anni attraverso la Siberia e anche in altri posti del mondo. Un giorno il figlio si scoccia e scende al casello di Verona nord. Oggi lavora in banca, reparto finanziamenti e microcredito; vive da solo e non ha ancora finito di pagare il mutuo della macchina. La sera torna casa e, sdraiato al buio, ascolta Lucio Dalla.

CAPITOLO 3

Se vostro figlio non ha voglia di fare i compiti non spaventatevi, è del tutto normale. Se invece vostro figlio non ha mai voglia di fare i compiti, allora probabilmente c’è un problema. Le statistiche più aggiornate mostrano che l’82% dei bambini soffre di floscezza intellettiva. Lo stesso vale per la maggior parte degli animali di piccola taglia. Se in casa sentite spesso frasi come:

– Non ho voglia, lo faccio dopo. Promesso
– Ancora qualche minuto, poi mi alzo
– Adesso che ho fatto quasi tutti i compiti di storia vado a giocare con i sacchetti di plastica
– Non ho più fame mamma. Voglio diventare buddista
– Mi sento addosso uno strano senso di letargia. Mi stanco molto più in fretta dei miei coetanei e spesso mi scopro spossato dopo aver fatto le scale. Temo di soffrire di floscezza intellettiva.

Se sentite spesso queste frasi, probabilmente vostro figlio soffre di floscezza intellettiva. Una volta accertata la diagnosi (si fa tutto in casa, con un kit che regalano in farmacia) si può procedere con la somministrazione degli psicofarmaci. L’industria offre una vasta gamma di soluzioni personalizzate che sanno rendere l’assunzione un momento anche giocoso. Le pastiglie hanno forme divertenti; ad esempio alcune sono a forma di giraffa, altre di palombaro, su altre ancora è possibile far stampare la faccia della nonna. I coloranti sono al 100% di derivazione naturale, a parte il rosso borgogna che è di sintesi.

La posologia è molto flessibile: di solito si consiglia l’assunzione di 700, 800 quintali di farmaco nell’arco di un’intera vita. Tutto dipende da quanto se ne riesce a prendere ogni giorno. Mettiamo che convinciate vostro figlio a mandar giù 50 giraffette al giorno (1 giraffetta = ca. 200 g). Così facendo, dopo ventidue anni si può sospendere la cura. Bisogna però stare attenti a non sospenderla prima, per nessun motivo.

Molti di voi genitori sono diffidenti circa l’utilizzo di psicofarmaci sui loro figli. Va bene, posso anche capirvi. Ecco l’alternativa: dal momento che il vostro bambino soffre di floscezza intellettiva, bisogna sottoporlo a stimolazione continua. Fate sì che sia sempre impegnato a fare qualcosa. La mattina, ad esempio, organizzate una passeggiata di circa 65 Km lungo il cammino di Santiago; fategli conoscere gente, vedere posti nuovi. I musei sono la soluzione più efficace. Ogni pomeriggio una mostra diversa: lunedì una personale di Pollock a Palazzo Reale a Milano, martedì una mostra-mercato sui canti delle mondine pavesi al MoMA. Se non potete permettervi i musei, anche il circo con gli animali va benissimo. Insomma, non concedetegli mai un attimo per riposarsi, anche se vi supplica in ginocchio. La sua mente non deve avere il tempo d’essere debole.

Ma ecco che la sera, dopo Santiago, le mondine, i leoni di Moira Orfei e tutto quanto vi dice: – Mamma, sono stanchissimo, non mi reggo più in piedi. I compiti li faccio domani, giuro.
Al che andate in farmacia e ordinate 800 quintali di psicofarmaci a forma di palombaro.

CAPITOLO 4

Un bel progetto del Comune di Milano è stato quello di trasferire i centralini del telefono azzurro direttamente dentro il carcere di San Vittore. I detenuti così hanno l’occasione di sentirsi utili e non perdono il contatto con la realtà. Di solito il bambino medio chiama il centralino intorno alle 20:30. I problemi sono sempre gli stessi:

– I miei genitori litigano spesso, anche se mi ripetono che io non c’entro
– A volte, dopo aver litigato, mi chiudono per ore nel mobiletto del bagno insieme agli spazzolini
– Credo che mia nonna non si lavi abbastanza
– Mi sono innamorato della mia vicina di casa polacca, ma non capisco se è vero amore

Il detenuto cerca di dare delle risposte basandosi anche sulla sua esperienza dietro le sbarre, il che poi è un pretesto per raccontare al bambino tutta la sua vita. Se l’assistente sociale (che ascolta tutte le conversazioni) ritiene che tra i due si sia instaurato un rapporto di fiducia reciproca, fissa un appuntamento. Il malvivente e il bambino allora si incontrano in un bar vicino a Vercelli e hanno un po’ di tempo per parlare di persona. La maggior parte delle volte il detenuto coglie l’occasione e rapisce il bambino. Chiede un riscatto di 100.000 fiorini ungheresi (circa 300 euro) e di essere tradotto nel carcere di massima sicurezza di Cracovia. Per il bimbo è anche una bell’esperienza, e per un po’ si dimentica dei problemi domestici. Poi interviene l’assistente sociale e rovina tutto.

Il Comune allora ha deciso di spostare i centralini nella bocciofila di Novate Milanese. I vecchietti di solito fanno squillare il telefono e non rispondono. Un po’ sono sordi, un po’, diciamocelo, se ne approfittano.

CAPITOLO 5

Al genitore italiano capita spesso di dover affrontare il problema dell’innamoramento del figlio piccolo. Come consiglio generale direi che bisognerebbe sgridarlo e fargli passare la voglia subito. Anche perché la maggior parte delle volte lo fa apposta per saltare le verifiche. Può anche succedere però che un bambino tra i 3 e i 5 anni di vita si innamori veramente. In tal caso bisogna ritirarlo immediatamente da scuola e iscriverlo in un istituto privato gestito dalle suore Orsoline. Un segnale d’allarme per capire che è il momento di agire, è quando vostro figlio vi chiede come vi siete conosciuti. Ecco come rispondere: – Caro Albertino, mi ricordo ancora la prima volta che vidi tua madre. Eravamo tutti e due in vacanza a Pesce Luna di Fiumicino. Legambiente la considera la spiaggia più inquinata e piena di rifiuti di tutta l’Italia. Infatti i nostri genitori ci obbligavano a stare tutto il giorno in albergo. Anche la piscina dell’albergo però era piena di rifiuti; una notte, ad esempio, qualcuno ci aveva scaricato dentro un tram. Dallo stanzino delle scope dove mi avevano rinchiuso, vedevo la finestra della camera di tua mamma. Un giorno ho trovato una roccia basaltica in un angolo e l’ho tirata contro il suo vetro. S’è sfondato tutto. Ho subito comprato dei fiori e sono andato a trovarla in ospedale, dal momento che era stata colpita alla testa da un meteorite. Così ci siamo innamorati. E adesso vai a dormire; bada bene che non voglio mai più sentire tutte le bestialità sull’amore che hai detto ultimamente. Se scrivi un’altra poesia mi arrabbio. Sei piccolo e non capisci niente.

La disapprovazione dei genitori dovrebbe essere un deterrente sufficiente a farlo smettere. In caso contrario potete provare a comprargli un cane e poi, appena si affeziona, seppellitelo in giardino. Anche una vacanza-lavoro in una colonia penale di Mestre potrebbe funzionare. Se il bambino insiste, lasciate fare.