Massimo tre parole

Dove, armati di veridiche prove filologiche e supportati da illustre esempio, si mostra al Lettore quanto sia cosa infelice il conceder con avarizia il tempo agli scritti.

Recenti ricerche hanno permesso la riscoperta di alcuni scritti giovanili di Immanuel Kant; particolarmente interessanti sono gli studi del grande filologo Osvald M., massimo studioso dei diari segreti del filosofo tedesco. Riportiamo ora un breve estratto delle sue ricerche.

Il giovane Kant frequentò con grande profitto il collegio, tanto che si definì subito “il miglior allievo della classe”; quando poi la scelta del percorso universitario si rese necessaria, non esitò ad iscriversi alla prestigiosa università di Königsberg, anche perché, all’epoca, l’unica senza prove di ammissione.

Il primo anno, come possiamo leggere nei suoi diari, fu superato senza eccessive difficoltà, se si esclude una ripetuta bocciatura all’esame di Storia della Filosofia Contemporanea. Anche il secondo anno di studi procedette senza intoppi e con risultati eccellenti. Durante il terzo anno viene invece registrato un evento particolare, che intendo qui approfondire, anche a vantaggio delle nuove generazioni di studenti.
Nei mesi di novembre e dicembre 1743, il giovane Immanuel studiava assiduamente in vista dell’esame a scelta da lui selezionato per la sessione invernale: “Logica ed etica nel pensiero kantiano”. Quando giunse il momento di presentarsi alla prova, Kant si sentiva decisamente preparato e sicuro di sé; del resto l’esame riguardava la sua stessa filosofia, come avrebbe mai potuto non superarlo? Questo consisteva in uno scritto di dieci domande, per ognuna delle quali erano disponibili dieci righe, da completarsi in 60 minuti. Sedutosi al banco e impugnato il pennino, lesse i quesiti e li trovò estremamente facili.

Quesito numero uno: Si descriva, in massimo dieci righe, la concezione kantiana dell’etica e in che modo essa si relazioni con ciò che nel sistema si definisce “idea”. Si giustifichi la risposta con opportune citazioni dalle principali opere di Kant, con relativo commento ed analisi linguistica. Si esponga poi come quanto detto possa essere inscritto in un ragionamento più ampio, che consideri anche la sua definizione di “categoria”, la sua attitudine rispetto alla logica e le altre discipline da lui studiate, supportando il discorso con valide argomentazioni; non si dimentichi infine di tracciare un quadro storico-politico-sociale dell’epoca.

Di simile natura i restanti nove quesiti.
Il giovane Immanuel cominciò di buona lena a rispondere, ma si accorse ben presto di come qualcosa non tornasse. Dopo venti minuti stava ancora delineando l’orizzonte storico-politico-sociale richiesto nel primo quesito, senza aver minimamente affrontato gli altri punti. Quando poi, dopo mezzora, terminò quell’impossibile sintesi, si accorse di avere a disposizione una riga soltanto per affrontare il resto del quesito numero uno. Cercò allora di recuperare disperatamente il tempo perduto e si tuffò a capofitto nella seconda domanda, tentando in ogni modo di condensare la sua stessa concezione di metafisica, corredata ovviamente da citazioni delle opere che lui stesso aveva partorito, in meno di cinque righe. Così, quando il professore, frustrato forse da una carriera accademica non particolarmente brillante, annunciò che bisognava appoggiare il pennino e consegnare gli scritti, il povero Kant era riuscito a completare soltanto i primi 6 quesiti, abbozzando qualche frase sconnessa nel settimo. Massimi furono il suo sconforto e la sua frustrazione.
Quando, una volta che anche il secondo appello fosse trascorso, il professore decise di pubblicare gli esiti del primo, il giovane filosofo scoprì di aver ricevuto diciotto e pianse lungamente.
Il giorno della visione dei compiti si recò in università e attese il suo turno; quando finalmente fu chiamato a prendere il suo elaborato, sul quale era stata pasticciata in rosso la sufficienza, volle chiedere umilmente spiegazione al professore, il quale prontamente gli rispose: «Signor Kant, intanto il tenore polemico della vostra richiesta vìola irrispettosamente la mia persona, dunque vi invito ad adottare un tono differente quando vi rivolgete a me. Per quanto riguarda il vostro scritto, posso soltanto asserire che voi della filosofia kantiana avete assimilato ben poco, per non dire che non ne avete capito davvero nulla. Sapete come definirei il vostro lavoro? Eh, lo sapete? Superficiale, non avete approfondito nessun dei concetti richiesti; vi siete limitato ad accennare vagamente alcuni punti, dimostrando tra l’altro scarsa attitudine alla materia. Consentitemi infine di dire che voi, in qualità di non frequentante, non meritereste un voto migliore neppure se lo scritto lo fosse. Vi invito a ripresentarvi quando avrete studiato Kant seriamente».
Allora Kant, che si sforzava di trattenere le lacrime, osò accennare alla scarsità di spazio e di tempo a disposizione e all’impossibilità di elaborare, scrivere e addirittura pensare in quelle condizioni. Non l’avesse mai fatto! Subito l’altro montò su tutte le furie, urlando «Voi non vi dovete permettere di criticare il mio lavoro di insegnante, è CHIARO? Voi state mettendo in discussione quello che un consiglio di docenti con secolare esperienza nell’insegnamento ha stabilito. Vi rendete conto della gravità della cosa? Se ho ritenuto che un’ora fosse sufficiente e così lo fossero dieci righe, voi non vi dovete neppure sognare di contestare ciò. Mi sono spiegato? Quando qualcuno conosce realmente ciò che ha appreso, non necessita di molto tempo per pensare, né di tanto spazio per scrivere. Se non avete voglia di studiare e intendete soltanto far polemica restatevene a casa. E ora andatevene, dall’aula e anche dall’università, se volete un consiglio da amico».

Se il lettore pensa che questa scena sia stata la più triste che il povero Kant dovette affrontare, si sbaglia grandemente. Quando infatti, tornato a casa, dovette confessare ai genitori il misero esito dell’ultimo esame, questi si adirarono ancor più del professore.
La madre, che gli aveva impartito una profonda educazione religiosa di stampo pietista, non ebbe nessuna pietà. Inutili furono i tentativi di Immanuel di riportarla alla ragione: «Madre, vi prego, come potete pensare che io non abbia studiato? Del resto l’esame riguardava me stesso, come accidenti mi si può ritenere superficiale nella conoscenza della mia stessa maledetta filosofia?» diceva lui mentre, iniziando ad accorgersi dell’assurdità di quella situazione, si andava scaldando.
«Non ti giustificare» gridava lei piangendo con il volto nascosto dietro ai palmi, «se non hai più voglia di studiare non inventare sporche menzogne almeno; inficia la tua media, ma non l’onestà della famiglia. Se avessi saputo di questo giorno, forse non ti avrei mai dato alla luce».
A quel punto intervenne il padre e, con voce ferma e minacciosa, disse «Immanuel, hai deciso di gettar via la tua carriera accademica, quella stessa che io e tua madre, con tanti sacrifici, ti abbiamo permesso di seguire. Ora ti appelli a scuse meschine, insultando la tua e la nostra intelligenza; non hai più rispetto di niente e di nessuno. Non sei più un uomo ai miei occhi».
Poi, essendo egli un ben conosciuto sellaio, non ebbe difficoltà a trovare un lungo laccio di cuoio e ne fece lungo uso sul figlio.
Gli studiosi moderni non sanno ancora dire se, alla fine di quella infelice scena, molte ore dopo, fosse più conciato il cuoio o il didietro di Kant stesso.

Va detto che il filosofo tedesco si laureò ugualmente, ripetendo l’esame con un altro professore che, dopo averlo interrogato in una prova orale, gli diede trenta e lode, complimentandosi per la conoscenza approfondita della materia.
Qualche anno più tardi divenne anch’egli docente universitario e cominciò a insegnare. Quando dovette preparare il testo dell’esame, il primo quesito recitava così:

Quesito uno di undici: Si descriva la storia del pensiero occidentale, prestando particolare attenzione agli aspetti storici e sociali intercorsi tra l’invenzione della scrittura e il secondo Illuminismo. Si giustifichi la risposta con opportune citazioni dalle principali opere scritte in questo periodo, con relativo commento ed analisi linguistica. Si esponga poi come quanto detto possa essere inscritto in un ragionamento più ampio, che consideri anche la filosofia scolastica, la storia delle religioni in generale e le metafisiche orientali, supportando il discorso con valide argomentazioni. Massimo dieci righe.

Tempo a disposizione: trenta minuti.

Non intendo ora esprimermi circa la morale di ciò che è stato qui riportato; eppure lasciate che vi chieda: quale insegnamento ritenete si possa trarre da tutto ciò?
Si scriva un significante elaborato di massimo tre parole.