Manuale di pedagogia ornamentale vol. 4

ANNUNCIO AI LETTORI

Con grande orgoglio introduciamo questo numero del Manuale presentando un nuovissimo progetto che aiuterà migliaia (milioni!) di voi genitori a ritrovare quella serenità prenatale che, con la nascita del primo figlio, credevate persa per sempre. Sappiamo bene che peso per la società e per la famiglia possano diventare i bambini in età evolutiva (0-18). Perché farsi carico di questo fardello? A che scopo se poi, quando invecchierete, anziché prendersi cura di voi vi rinchiuderanno in una di quelle case di riposo che sanno di desolazione e di minestra? Continuate piuttosto a condurre sereni e distesi la vostra esistenza, capitani coraggiosi del vostro futuro. Niente vi può impedire di dedicare tempo alle vostre passioni, ai vostri progetti, o a scalare la piramide sociale con le unghie e con i denti. Nessuno ha il diritto di chiudere i vostri sogni in una gabbia. Soprattutto non un bambino. Ma non disperate mamme e papà dell’emisfero boreale, nulla è perduto. Non dovrete far altro che iscrivere il pargolo alla “Casa di riposo per la prima età A. Stornamer”, situata sull’isola di St. Helena.

Questo famoso reclusorio per l’infanzia è organizzato esattamente come ogni altra casa di riposo: lunghi corridoi che sanno di Lysoform, dove una silenziosa calma cela, come nebbia costiera, lo sciabordare sordo e terribile della noia che, un granello alla volta, erode ogni cosa. Ma non avete nulla da temere, i vostri figlioli saranno curati premurosamente da un personale con lunga esperienza in campo geriatrico. Potranno trascorrere le loro lunghe giornate sfogliando riviste dentistiche e guardando la TV via cavo dal letto della loro stanza.

Per stimolare con garbo lo sviluppo cognitivo dei nuovi nati, una volta a settimana le infermiere organizzano una sempre diversa attività ricreativa (solitamente la tombola degli animali). Raggiunta l’età giusta, l’internato potrà passare dalla casa di riposo per la prima età a quella per la terza età, favorendo così la continuità didattica.

Alcuni pedagoghi del nuovo millennio hanno lamentato l’assoluta mancanza di rapporti umani, la scolarizzazione praticamente nulla degli infanti e, più in generale, la completa follia di un progetto del genere, citando a sostegno della loro tesi i frequentissimi tentativi di evasione (come il recente caso di Franco, che ha costruito una testa di cartapesta con le cartelle della tombola ed è fuggito per mare).
È lampante come questi ciarlatani benpensanti non abbiano ben chiaro il punto focale della questione. È della vostra vita che stiamo parlando, delle vostre aspirazioni, del vostro futuro. Strappatevi, come un’erbaccia, l’idea di famiglia dalla testa; è soltanto una paroletta che sa di cantina.

Per quanto riguarda la mancanza di interazione, niente di più falso: potrete venire a trovare la vostra progenie l’ultima domenica di ogni mese. Scambierete due chiacchiere (analfabetizzazione permettendo) e potrete portare in dono una fotografia o un mazzo di fiori, trofei orgogliosi della vostra genitorialità.

A tutte le critiche noi rispondiamo con una frase del grande Anton Stornamer: “Il problema non è la cosa in sé, ma l’uso che se ne fa”.

CAPITOLO 13

È buona cosa educare i ragazzi, fin dalla tenera età, al valore del denaro. La pedagogia tradizionale suggerisce ai genitori di dare ai loro figli una paghetta, così da abituarli al rapporto con i soldi. Ed ecco che ancora una volta, se non del tutto errate, queste indicazioni si rivelano gravemente incomplete. Questo atteggiamento, degno di un bolscevico da pianerottolo, non vi porterà lontani, cari le mie mamme e i miei papà ornamentali. Perché i bimbi comprendano appieno il valore del denaro, non è sufficiente foraggiarli settimanalmente, ma occorre che questi si trovino costretti a prendere decisioni economiche concrete, in un’ottica mercantilistica reale.

Ecco come fare. Chiamate Carlotto, vostro figlio di quattro anni, e annunciategli che avete un bel regalo per lui. Quando si è accomodato sul divano, trepidante, senza tanti complimenti cacciategli una banconota da 50€ in mano. «Ecco. D’ora in poi io e mamma ti daremo 50€ a settimana», esordite con solennità. «Sei un giovanotto ormai, e te li meriti. Puoi farci quello che vuoi. Qualsiasi cosa.» A Carlotto non pare vero, sogna già una montagna di dolci e giocattoli che lo sommerge fin sopra la testa. «Ma c’è una condizione», continuate, congelandogli il sorriso in faccia, «d’ora in poi io e mamma non saremo più gratis. Se vorrai due genitori dovrai pagarci, perché nulla è gratis a questo mondo, ricordalo. La nostra genitorialità costa 50€ a settimana. A partire da adesso», e andatevene via lasciandolo solo.

Così Carlotto si trova di fronte ad un grande dilemma morale ancor prima che economico. Che fare? Rinunciare a mamma e papà o all’album dei calciatori e alle caramelle alla frutta? Naturalmente i primi tempi sono all’insegna dei centrocampisti del Genoa e dei coloranti di sintesi, acquistati e trangugiati senza masticare, perché colmino più in fretta la nuova voragine affettiva. Ma dopo un mese la situazione diviene insostenibile, e il nostro moderno Oliver Twist, ormai sazio e disperato, si decide finalmente ad acquistare i suoi genitori.

Ma è a questo punto che Carlotto fa una nuova scoperta: con 50€ può acquistare soltanto il pacchetto per la genitorialità di base, senza optional. Il padre lo accompagna all’asilo facendo finta di non conoscerlo, e la madre gli apre una scatoletta di tonno a martellate. Cenano insieme, ma nella penombra e senza spiccicare una sola parola. Solo prima di andare a dormire gli viene mostrato, finalmente, il listino completo, che viene appeso sul frigo:

  • Sorriso di 4 secondi – 10€
  • Sorriso di 7 secondi – 15€
  • Abbraccio/carezza (1 porzione) – 17€
  • Complimento gratuito – 22,50€
  • Permesso di dare la mano al nonno – 30€
  • Punizione che mostri la retta via rispettando la corporeità del bambino – 40€
  • Punizione che però è soprattutto una scusa per sfogare antiche tensioni grazie ad un uso manesco del ferro da stiro – 45€
  • Presenza svogliata alla recita di fine anno, urlando più volte dall’ultima fila: «Ma quando finisce questo supplizio infernale? Chi ha fatto la regia di ‘sta porcata, una lucertola? Se tra cinque minuti non hanno finito mi cavo gli occhi con un coltello da formaggio» – 200€
  • Presenza entusiastica alla recita di fine anno – 500€
  • Regalo di Natale a sorpresa (catalogo Ikea, sezione sanitari in metallo) – 780€
  • Discorso padre-figlio riguardo il mondo femminile – 1900€
  • Consigli materni per superare un periodo di crisi adolescenziale – 2200 €

E così via.

Carlotto ora ha un rapporto completamente diverso con il denaro. Sa che se vuole qualcosa deve fare dei sacrifici, e così non sperpera più il suo piccolo capitale. Le caramelle alla frutta sono ormai un ricordo lontano. Ha una piccola cassetta di latta e passa le sue giornate a fare e rifare i conti, come un giovane usuraio. «Questo mese posso permettermi un sorriso in più? No, se resisto il mese prossimo mi faccio mettere in punizione due volte…»

Questo metodo, a prima vista, potrebbe sembrarvi un po’ eccessivo, ma vi sbagliate di grosso, come sempre del resto. Ho visto bambini risparmiare una vita intera per un bacio della buona notte.

CAPITOLO 14

Alcune notti fa, verso le 3:50 suona il telefono. È una mamma di Bressanone che mi chiama per chieder consiglio. Ora la domanda è, come fanno tutti quanti ad avere il mio numero? Non sono neanche iscritto all’albo…
«Buongiorno dottore, la chiamo perché mio figlio in questo periodo mi sta facendo preoccupare seriamente.»
«Signora, per prima cosa come fa a essere un buon giorno se non sono neanche le 4 di mattina? Non avrebbe potuto chiamarmi più tardi?»
«Mi scusi, sono mortificata. Il problema è che posso usare il telefono solo di notte, di nascosto da quel disgraziato di mio marito. Non sapendo più cosa inventarsi, lui e i suoi amici del bar hanno avuto la bella pensata di diventare amish. Adesso se in casa trova un qualsiasi apparecchio elettrico mi spara nelle ginocchia. Così per telefonare sono costretta ad aspettare la notte e nascondermi nel frigo.»
«Non mi vorrà dire che adesso mi sta chiamando da dentro il frigo?»
«Esatto. Ma è spento ovviamente, non voglio certo contrariare quel neoluddista di mio marito. Mi dia un momento, sposto questa testa marcia di trota e sono subito da lei…»
«Non ho parole.»
«Ecco fatto. Dunque, il motivo per cui la chiamo è Osvaldo, mio figlio minore. Ultimamente si è messo in testa questa cosa che vuole diventare celiaco, probabilmente per imitare i suoi compagni di scuola. E prima mio marito amish, e adesso mio figlio celiaco… non so più cosa fare. Se continuano così io vado a vendere noci di cocco nel cimitero di Vipiteno.»
«Si calmi, non ho capito una parola di quello che ha detto. Cosa vuol dire che suo figlio vuol diventare celiaco? La celiachia è un’allergia, non si può “diventare” celiaci per scelta. E se anche si potesse, chi mai al mondo deciderebbe deliberatamente di sviluppare un’allergia al glutine?»
«Le spiego: prima Osvaldino era un ragazzetto del tutto normale, un po’ bruttino forse, ma senza grossi problemi. Si mangiava il suo panino e se ne stava tranquillo in un angolo. Poi un giorno non lo vedo arrivare a pranzo, mi insospettisco e vado a controllare in soffitta. I miei timori erano fondati: l’ho trovato con la testa in un sacco da 25 kg di farina di kamut per panificazione. Ne aveva già fatto fuori metà. Gli ho chiesto spiegazioni ma lui è corso via gridando.»
«Continui.»
«Qualche giorno dopo ho provato a farlo ragionare, ma lui per convincermi della sua celiachia ha voluto darmi una dimostrazione e ha cominciato a colpirsi ripetutamente le tempie con una baguette. Di lì a poco ha perso i sensi. Io non sono un’allergologa, però se uno si fracassa il cranio, ci credo che poi sviene. No?»
«Eh già…»
«Insomma. Da allora è stato tutto un peggiorare. A scuola è diventato un bullo; ogni giorno la maestra chiama a casa per avvisarmi che mio figlio ha alzato le mani su un ragazzino diversamente celiaco. Io lo sgrido ma non serve a niente. Ho pensato che forse tutta questa storia è una sorta di ribellione adolescenziale contro la società o contro l’autorità dei suoi genitori. Non crede? Ormai si rifiuta di mangiare qualsiasi cosa non abbia l’etichetta “prodotto adatto ai celiaci”, ha presente il simbolo con la spiga di grano barrata? Voglio dire, una banana ogni tanto non ha mai ucciso.»
«Confesso che non mi è ancora del tutto chiaro quale sia effettivamente il problema.»
«Il problema è che questi maledetti prodotti sono costosissimi e mio marito non lavora. L’ultima volta che è stato assunto in una fabbrica ha devastato l’intero stabile con una di quelle gigantesche trivelle da cava di carbone al grido “Viva Ned Ludd, abbasso la meccanizzazione del settore caseario!” E poi ultimamente Osvaldino si rinchiude sempre più spesso nel suo silos di farina di riso e trascorre lì i suoi pomeriggi. Ha anche smesso di lavarsi e gli stanno crescendo delle enormi pagnotte su tutto il corpo. Non cammina neanche più, rotola in giro come una michetta. Sono disperata. Non avrebbe qualche consiglio da darmi?»

«Signora, glielo dico onestamente, suo figlio fa schifo.»

CAPITOLO 15

Tra le molte e più sempre che spesso infondate critiche mosse alla nostra Pedagogia Ornamentale, siamo stati accusati d’aver scelto un nome del tutto fuori luogo per questa disciplina. Quasi cercassimo l’effetto scenografico più che una vera e propria serietà scientifica. Ma se è vero che ci trova più a nostro agio l’appariscenza che la scienza, è anche vero che questo titolo ha la sua ragion d’essere. Ragione che ora illustreremo.

La pedagogia tradizionale, tra le sue innumerevoli manchevolezze, ne vanta una in particolare. Alla domanda: “è eticamente corretto adoperare i nostri figli come complementi d’arredo?”, si è sempre limitata ad un secco “no!”, senza mai fornire ulteriori argomentazioni. Di contro, solo la Pedagogia Ornamentale offre delle risposte alla meglio formulata domanda: “come possiamo utilizzare i bambini per abbellire le nostre case?”

Dimenticatevi quelle quattro nozioni di feng shui che avete letto dal dentista e studiate con mente aperta quanto segue: il vostro appartamento risplenderà di luce nuova.

I bambini, esattamente come le piante a foglia larga, donano nuova vita a spazi chiusi e poco illuminati. Provate a posizionare Marcellino, il più paffutello, in un angolo buio del soggiorno: scoprirete con gioia come questo conferirà un’aria più radiosa all’intera stanza. E non dovrete neanche ricordarvi di bagnarlo. «Risplendi Marcellaccio, risplendi bene, che non riesco a leggere i fumetti di Frida Khalo.»

Come insegna la moderna architettura d’interni, è importante riempire con armonia gli spazi abitativi, liberandosi dei vuoti ingombranti. Fate sdraiare vostro figlio maggiore con le braccia bene aperte in una zona del parquet particolarmente sgombra. Ecco ristabilito l’equilibrio energetico, e il tao può finalmente ricominciare a fluire nei chakra della vostra maison. Non dimenticatevene però quando farete le grandi pulizie di primavera. Disincastrare un bambino dalle spazzole di una lucidatrice industriale è una procedura lunga e faticosa.

Volete dare al vostro studio un’aria più charmant? Al posto di buttare via soldi inutilmente, siate creativi: fate mettere a carponi il figlio del vicino sotto la finestra. Ecco che il vostro studio avrà un tono più intellettuale. Ricordate, niente grida eleganza più di un bel tavolino da lettura. Soprattutto se, con un calcione ben assestato, gli fate effettivamente gridare «eleganzaaa!» ogni qualche minuto.

Parlando di decorazioni, le bambine possono essere agganciate al soffitto come strenne per un effetto natalizio, oppure incollate direttamente fuori dalla porta, insieme ad un augurio di pace e felicità per l’anno che viene. Sbizzarritevi, l’unico limite è la fantasia!

Se vostro marito ha invitato il suo capo a cena, è bene disponiate i figli sul davanzale della camera, così da poter utilizzare il letto per i cappotti. Oppure potreste far stare il vostro preferito con il braccio ritto verso l’alto: ecco pronto un appendiabiti alternativo che non mancherà di stupire positivamente i vostri ospiti più attenti.

Se qualcuno dovesse offendersi, criticando la disumanità del vostro arredamento, si sbaglierebbe di grosso. Mai arredamento è stato più umano di così. Ripetetevi mentalmente il mantra: “risparmiare, riutilizzare, reificare”.

Per concludere, un piccolo consiglio bonus per le vostre fotografie. Per ottenere un piacevole equilibrio compositivo, disponete così i bambini prima dello scatto: i più alti dietro, quelli più bassi davanti, e quelli più brutti fuori dall’inquadratura.

CAPITOLO 16

Il centro ricerche statistiche per l’infanzia della Groenlandia, in collaborazione con la Breda metalmeccanica, ha recentemente pubblicato uno studio interessante: ogni quattro secondi un bambino, da qualche parte del mondo, resta incastrato. Ringhiere e cancelli automatici, passaggi a livello incustoditi, ponti sospesi nel vuoto, cantieri navali abbandonati, ziggurat precolombiane, biscottiere in vetro: ogni luogo è una golosa occasione per i fanciulli di tutte le età, i quali sembrano non aspettare altro che cacciare il loro capoccione nel primo anfratto cieco. Ma ecco che si ritrovano incastrati in una morsa d’acciaio e non possono più cavare la testa che, come un buon tassello, è entrata con facilità e non uscirà mai più, se non trapanando il tutto con poca eleganza e rovinando una buona porzione di muro. La pedagogia tradizionale si è mai interessata al problema? Ovviamente no, troppo occupata a parlare dell’importanza dell’allattamento naturale e a vendere quei libri per mamme con la copertina dove tutti sorridono. Ora vi chiedo: se vostro figlio è rimasto incastrato in un pilone portante del ponte di Brooklyn, e penzola attaccato per la testa a strapiombo sulle acque torbide dell’East River, cosa c’è da ridere? Cercate, mamme da Feltrinelli, cercate sui vostri “Essere genitori oggi” e “Se ami tuo figlio, lascialo correre”, non troverete che i consigli fastidiosamente paternalistici di un uomo che, per far carriera e scrivere quei libri, ha trascurato completamente la sua famiglia. Fortunatamente, almeno per voi lettori, la Pedagogia Ornamentale ha una visione molto più chiara delle priorità, e prima di occuparsi di futilità offre risposte complesse a problemi realistici. Ecco come comportarsi nel caso in cui vostro figlio rimanga incastrato.

Immaginiamo lo scenario classico. State camminando con Lucio, vostro figlio di 5 anni, lungo un ponte rialzato, di quelli che attraversano da parte a parte i binari del treno. D’un tratto vi accorgete che, per guardare di sotto, quello ha cacciato la testa tra due sbarre del parapetto. Se ne sta lì, in quella ghigliottina sospesa e, con le gambe penzoloni, ride, ride come un matto. Imprecando tra i denti, provate in tutti i modi a disincastrarlo dalla formidabile presa della ghisa. Tirate e strattonate, colpite e martellate con poco garbo, tentate di allargare le sbarre, gli schiacciate le orecchie contro la testa nella speranza di riuscire a liberarlo. Se è entrato dovrà pure uscire! Ma non c’è nulla da fare: è incastrato. Dopo i primi attimi di panico, vi sforzate di ragionare con più lucidità. Una soluzione ci dev’essere, vi ripetete, cercando in tutti i modi di calmarvi. Intanto Lucio se ne sta lì, appeso per la testa come un salame antropomorfo, e continua a ridere a crepapelle. «Ma brutto cane! Cosa c’è da ridere?», sbottate, «al diavolo te e il tuo testone marcio.» Ma niente da fare, le vostre parole hanno il solo effetto di suscitare più ilarità. E più quello ride e si dibatte, più la testa gli affonda nella ghisa e si incastra. E più si incastra più vi arrabbiate, e più quello ride. Così, fino a sera.

Genitori, è proprio in questi casi che non dovete perdere le staffe. Al contrario, dovete sforzarvi di adottare una visione più ampia, lungimirante, olistica. Non accanitevi ciecamente contro un conflitto immediato, provate invece, per un momento, a pensare più in grande. Immaginate un futuro per vostro figlio, un futuro che ne valorizzi le potenzialità, ma che sappia rispettarne i limiti e le debolezze. Come disse l’allenatore di Budda: “Godi del ricco banchetto che la vita offre, ma non dimenticarti di prenotare telefonicamente”

E così il piccolo Lucio, con la testa sempre bene incagliata tra le sbarre, comincia un percorso di home schooling. Durante la settimana il padre si reca sul ponte e gli fa lezione. Matematica, italiano, storia della torrefazione abusiva, ogni materia è approfondita con cura. Se piove la lezione salta, e Lucio è contento come una pasqua. Giorno per giorno (festivi esclusi) la mamma gli porta pranzo e cena e lo imbocca con quella cura premurosa che solo le madri conoscono. Intanto si è fatto due nuovi amici: Dario, detto Darione, un drogato che vive nei bagni della stazione e puzza di vino, e un ratto fognario che di notte esce in cerca di cibo, detto anche lui Darione. Gli anni passano e Lucio cresce bene. È un bel ragazzotto con la testa a posto, e le ragazze, passandogli di fianco, sorridono piano. A volte qualcuna gli lascia un fiore, o una monetina.

Lucio trascorre le sue lunghe giornate guardando il mondo da lassù, a pochi metri dai cavi dell’alta tensione che gli ronzano nelle orecchie e dai treni che sferragliano sotto il ponte, senza fermarsi. Cogliendo la metafora, un po’ di tristezza gli fa luccicare gli occhi. Ma è una tristezza senza rimpianti: sa che se potesse tornare indietro rifarebbe ogni cosa.

All’alba dei diciotto anni Lucio si è fatto un ometto e la madre e il padre si decidono a fargli un discorso. «Figliolo, tra poco sarai maggiorenne. È arrivato il momento che tu ti rimbocchi le maniche e ti dia da fare. Io e mamma ti abbiamo amato come un figlio, ma non possiamo più mantenerti. Sei un uomo ormai, devi cominciare a badare a te stesso. Buona fortuna.»

La mamma non dice nulla. Non vuole farsi vedere con gli occhi pieni di lacrime. Ha appena finito di leggere “Se ami tuo figlio, lascialo correre”, e sa che in fondo è giusto così. Prima o poi i figli devono partire per la loro strada, e bisogna avere il coraggio di lasciarli andare.

Lucio è confuso e li guarda allontanarsi per sempre, in preda a quelle mille preoccupazioni di un giovane uomo sulla soglia del mondo.