Del fusillo sopra la penna

Ovvero di come, con prova dapprima linguistica e a seguitare più ampia, venga dimostrata l’assoluta superiorità del primo sulla seconda.

Cominci il nostro ragionare con un’analisi del vocabolo penna. Se uno scolaro superficiale e svogliato potrebbe cercar l’origine nel latino pĕnna (ala, in italiano), per amore di verità e onestà intellettuale ci incarichiamo noi di mostrar l’etimo primo. Il legame linguisticamente più rilevante si ha con pena (dal lat. pōena; punizione, sofferenza), da cui si giunge (per geminazione consonantica) appunto, a penna. Per quanto riguarda il già citato, più debole, legame con ala, si tenga a mente che nella lingua dei britannici alas! è inequivocabile esternazione di pena (traducibile con l’italiano aimè!). La famiglia lessicale appare a questo punto in tutta la sua sferzante trasparenza: pena, rammarico, mestizia, inadeguatezza e, non da ultimo, incapacità di rapportarsi col proprio Io. (cfr. Il disagio della civiltà, Freud S.)

Voglia ora il Lettore volgere la sua preziosa attenzione all’etimo dell’altra parte in causa: il fusillo. Possiamo immediatamente individuare una lampante vicinanza linguistica con il lemma fuso, effettiva radice etimologica. Il fusillo ha dunque forma di fuso: è affusolato, elicoidale, ricorda la forma di una spirale.

Chi scrive non vuole insultare l’intelligenza del Lettore nel mostrare ciò che appare, giunti a questo punto, fin troppo evidente. Il modello o, come è stato chiamato da alcuni, archetipo del fusillo non può che essere ciò che ha sembianze spiraliformi per eccellenza: l’oggetto astronomico che gli antichi hanno battezzato, studiando il nostro Universo, Galassia. Dunque definire il fusillo come universale assume ora un valore sia filosofico che letterale, come la parola stessa prepotentemente suggerisce.

Per non annoiare chi legge, ci limiteremo in questa sede a sottolineare soltanto l’inestimabile valore che la spirale ha ricoperto nel pensiero occidentale, dai pensatori ellenici fino alla contemporaneità. La spirale, ad esempio, ha da sempre riscosso grande interesse geometrico (cfr. Sulle Spirali, Pitagora) ed è simbolo energico di abbondanza, di rigenerazione ininterrotta e di maternità fertile (cfr. Il Linguaggio della Dea, Gimbutas M.).

Abbiamo fino ad ora mosso i passi nel sommo campo di inchiesta umana quale è quello della Metafisica, per poi considerare anche il non meno degno campo della Geometria. Ci sia concessa dunque la libertà di discendere molti gradini nella scala delle Discipline.

Da un punto di vista puramente gastronomico, chiunque si sia anche in minima parte dedicato alla preparazione del proprio pasto, avrà certamente avuto esperienza di quanto si andrà ora ad esporre. Le penne, in virtù della loro forma tubolare che richiama (in assonometria cavaliera) un parallelogramma, soffrono di una malattia che non può, per così dire, essere in alcun modo curata. Se in fase di scolatura della pasta il cuoco non presta la dovuta attenzione, vuoi per inesperienza o per trascuratezza, il risultato è, aimé (alas, appunto), un inevitabile ristagno interno. Le penne, simili a tubature neglette, permetteranno nel loro ventre la stagnazione delle acque, con conseguente ed ovvio impaludamento. Soltanto al primo incontro con la forchetta i liquidi defluiranno dalle due estremità, in un’immagine che non può che risvegliare nella memoria collettiva la desolante scena degli ultimi acquedotti romani, abbandonati e in rovina dopo l’improvviso tracollo dei fasti dell’impero. Ed ecco che la reazione che ne risulta non può far scaturire nell’osservatore esterno che gran pena. Tutto sembra ripetersi con precisa circolarità, difatti ci avviamo al termine della nostra dissertazione.

Sulla riva opposta del denso fiume delle acque di cottura, troviamo il fusillo. Data la sua geometria, già largamente discussa e celebrata, esso impedisce spontaneamente il ristagno, rimanendo naturalmente e sistematicamente asciutto. Se dunque l’intento di chi legge è quello di arrendersi alle tenere promesse della pastasciutta, anche solo per assonanza lessicale, la scelta da compiere non potrebbe essere più palese.

Qualche ultima parola sia spesa a riguardo di ciò che alcuni amano definire indice di ritenzione (IdR, ndr). Per ritenzione si intende la capacità di trattenere il sugo con il quale eventualmente la pasta si accompagna, senza che esso percoli lentamente sul fondo del piatto, finendo per rimanere in quel luogo simile ad una pozzanghera estiva. Contrariamente a quanto un ingenuo potrebbe pensare, forse spinto da sciocca credenza popolare, la cavità delle penne, come largamente dimostrato da vari studi, NON si riempie di alcun condimento. Le penne acquisiscono così il tipico sapore acquitrinoso e sciappo (dal lat. săprus). Senza rischiare d’esser tacciati d’abuso retorico, potremmo dire che queste si sanno fondere al sugo tanto quanto la sabbia dell’Egeo si scioglierebbe nel latte di asina degli Urali.

I fusilli, al contrario, grazie ai loro spiriformi anfratti, ritengono felicemente ogni salsa a cui vengano accompagnati, in un’armonia completa e (di nuovo) universale. Così come le stelle s’annidano sfolgoranti lungo i bracci della galassia, il pomidoro al fusillo s’abbraccia in insolubile e definitiva stretta. Una totale e incondizionata fusione è ciò che chiunque può empiricamente osservare; del resto fusione e fusillo, all’occhio del navigato linguista, condividono la medesima radice.

E con ciò torniamo al punto di partenza del nostro ragionamento, sfoggiando un’estetica della dimostrazione che non può che essere indice di assoluta veridicità.

C.V.D.

In conclusione, a scopo bibliografico, sia citata l’autorevole nonché unica fonte per la nostra precedente dissertazione: si è tratta infatti voce dalla fin troppo ben conosciuta opera (De Rebus Naturae, ndr.) del poeta e filologo montefiorinese Medardo M. Boiardo (1195 Montefiorino – 1248 Диксон).

Accade anche che il titolo stesso sia tratto da una sua quartina, che troviamo nel De Rebus Naturae. Nel riportarla qui ci accomiatiamo infine dal Lettore, nella speranza che egli ci accolga nella memoria come farebbe con piacevole ricordo.

Per un sincer parlar sopr’ alla pasta

Al ver misera rima, aimè, non basta

Eppur l’opera mia qui e lì v’accenna

Di quanto stia il fusil sopra la penna